Comunicazione complementare: il colloquio di lavoro

Un fulgido esempio di comunicazione complementare è il colloquio di lavoro. Quando si effettua una selezione del personale chi svolge il ruolo di responsabile delle risorse umane ha una posizione di forte vantaggio rispetto al candidato: può, in base all’intervista e alla sensazione data dal candidato, decidere se portare avanti la sua figura o se non far avanzare la persona nel processo di selezione. Il tipo di interazione che avviene tra gli interlocutori è determinante, quindi, soprattutto per chi è in posizione di “svantaggio”. Abbiamo già visto quanto possa essere importante mettere il candidato a proprio agio per fargli dare il meglio di sé attraverso il metodo S.T.A.R., ma a questo dovrebbero corrispondere anche dei modi di fare, e non solo le “cose da dire”.

Il primo impatto

Il colloquio di selezione del personale non è un esame scolastico o universitario, ma l’incontro tra due (o più, nei colloqui di gruppo) persone che hanno l’obiettivo di conoscersi e scambiare informazioni per valutare il reciproco interesse (e capacità) dal punto di vista di una posizione lavorativa. Non si ha una seconda occasione per fare una buona prima impressione e il candidato può comunicare molte cose in pochi secondi, semplicemente per come si presenta.

Presentarsi qualche minuto prima è sinonimo di buon calcolo dei tempi. Arrivare sul filo di lana viene percepito come un rischio ritardo, mentre l’eccessivo anticipo può trasmettere la sensazione di timore, ansia. Meglio attendere fuori e fare due passi, per farsi vedere pochi minuti prima dell’appuntamento. Dall’altro lato, rispettare la puntualità del candidato, non farlo attendere o presentassi personalmente scusandosi per un eventuale ritardo nelle operazioni, promettendo (e rispettando) pochi minuti di dilazione è sinonimo di rispetto della persona. Così come un HRM valuta la puntualità, lo fa anche chi sostiene il colloquio.

Dovremmo avere imparato, in questi mesi, che il tempo non è un fattore secondario. Ha un valore molto importante, emotivamente e anche dal punto di vista economico. Consideriamolo come una moneta. Anche il modo di trattare questo elemento fa parte della comunicazione.

Ovviamente poi “l’abito non fa il monaco”, ma bisogna trovare il giusto equilibrio tra personalità e formalità. Fondamentale sentirsi comunque a proprio agio, al fine di non trasmettere le sensazioni sbagliate a chi si ha di fronte. Per questo può essere utile rompere il ghiaccio in maniera informale: si è raggiunto il posto con comodità, che bella struttura…

L’intervista

L’onestà è un valore fondamentale da ambo le parti. Può capitare che un candidato “gonfi” le sue competenze sul curriculum, ma sono elementi che emergono rapidamente in fase di colloquio. D’altronde non è neanche corretto che il selezionatore gonfi le potenzialità dell’azienda o le disponibilità economiche che la stessa mette in campo per un dato ruolo. È fondamentale ascoltare attivamente quello che viene detto da entrambe le parti, non interrompere e fare domande quando qualcosa non è chiaro. Per convenzione il candidato, a meno di specifiche date dal selezionatore, non dovrebbe fare domande sul trattamento economico al primo colloquio: può dare l’impressione di una persona interessata unicamente al denaro e non al tipo di lavoro e all’eventuale crescita professionale oltre a questo.

Non può mancare una valutazione di postura e gestualità: sappiamo ormai bene che non si tiene conto solo di quello che diciamo, ma anche di come lo diciamo. Bisogna essere spontanei, non artificiosi, mantenere un tono di voce e una scansione delle parole equilibrata (non volume troppo alto, non eccessiva lentezza o velocità di scansione delle parole), guardare direttamente la persona che si ha di fronte (con una mascherina a coprire parte del viso lo sguardo sarà un elemento di comunicazione fondamentale), mantenere un’espressione pacata. Molto importante è la postura: comodi ma non sdraiati sulla sedia (un candidato scomposto può trasmettere svogliatezza, mentre un selezionatore può dare l’impressione di supponenza o presunzione), mantenendo una gestualità misurata in base a quello che si sta dicendo.

L’osservazione dell’interlocutore diventa qui fondamentale: se si rispecchiano determinati atteggiamenti (posizioni delle mani, del busto, annuire insieme) significa che si sta creando un rapporto di comunicazione di particolare sintonia, e che la conversazione può offrire il suo massimo.

Dall’altro lato, un buon recruiter rispetta delle regole non solo di convenzione ma anche di legge: non fa domande sull’orientamento politico, su eventuali affiliazioni sindacali, sull’orientamento sessuale, fede religiosa o altre domande che attingano alla sfera personale (stato civile, intenzione di avere figli e simili). Indagare su aspetti che non hanno nulla a che vedere con le attitudini professionali del candidato non è solo deontologicamente scorretto, ma viola anche le leggi sulla privacy. Il candidato rischia, per posizione di svantaggio nel tipo di interlocuzione, di dover rispondere a domande che non dovrebbero nemmeno essere poste, nel timore di una esclusione a priori dal processo di selezione.

Il saluto

Quando vengono tenuti molti colloqui uno di seguito all’altro, buon consiglio per il selezionatore è quello di prendere gli appuntamenti con un calcolo di sforamento. Per esempio, se la valutazione di tempo medio è di venti minuti è buona idea prendere appuntamento con cadenze di mezz’ora. Quella decina di minuti può essere impiegata per scambiare due parole in più con un candidato senza far attendere quello successivo, o per prendersi una pausa e poter riprendere la successiva intervista a mente più fresca e meno meccanizzata.

Salutarsi deve tenere conto anche di questo. Non si deve dare né l’impressione di allontanare frettolosamente il candidato né di volersene andare a casa a tutti i costi. Il sorriso e la stretta di mano sono elementi ai quali dovremo rinunciare per un periodo non ben definito. Sarà importante trovare altri modi per stabilire un contatto. Accompagnare un candidato verso l’uscita, piuttosto che indicargliela e lasciarlo andar da sé, può trasmettere interesse per lo stesso nel momento in cui “ci si prende cura” di lui. Anche chiedere un chiarimento sul punto al quale svoltare, all’interno di un ufficio, è meglio che perdersi e vagare per i corridoi con aria smarrita.

Tirando le somme…

Un buon recruiter moderno non tratta il candidato come un numero, ma come una persona che può dare molto all’azienda. D’altronde il candidato non deve né sembrare “affamato” né lì tanto per passare il tempo con la convinzione che tanto il colloquio non andrà bene. Partire da un principio di impegno e positività da ambo le parti, con un buon mix di disponibilità al contatto umano, aiuta a creare un filo di collegamento empatico che è estremamente utile per comprendersi al meglio, tanto più in questo momento.