Fare le cose e farle male: non dobbiamo negarcelo

Una settimana fa si parlava del concetto del rimettersi in gioco dopo tempo e di come non fosse semplice. Ecco, in quel momento è stato fatto uno step importante, quando si è detto di accettare il proprio limite.

Lavorativamente (e spesso socialmente) parlando, i limiti non si vogliono più vedere.  Uno stage di formazione deve prevedere una persona con esperienza. Un apprendista è bene non sia al suo primo lavoro nel settore. In palestra se non si sa fare uno squat corretto nei primi dodici secondi magari c’è qualcuno che ci guarda male. Al karaoke dobbiamo combattere con la possibilità di una esibizione ridicola che implichi che non sappiamo cantare e che può portare al giudizio.

Si tratta di un problema di performance o, meglio, del rapporto che ormai abbiamo con la cultura dell’essere performanti.

Possiamo fallire, possiamo sbagliare, possiamo (dobbiamo!) imparare quando affrontiamo un nuovo percorso.

Ormai il mondo del lavoro ha, in moltissimi campi, raggiunto un livello di produttività tossica elevatissimo. Il lavoratore non è visto come un essere umano, ma unicamente come un rapporto costi/benefici. Vengono privilegiate spesso persone disposte ad annullarsi per dedicarsi completamente al lavoro, che rinunciano alla propria persona, personalità e magari anche tempo libero. Se poi dimostrano di saper fare tutto al primo colpo, il confronto con loro è pressoché impossibile.

Partiamo dal presupposto che i tuttologi non esistono, come non esistono i mental coach che invitano alla semplicità e alla cultura del riposo attraverso video con testi perfetti, super studiati, con luci assolutamente impeccabili e make up senza una sbavatura (perché nel tempo libero sono anche cuochi per mantenere un’alimentazione perfetta per fornire i giusti nutrienti al cervello e make up artist per essere sempre pronti di fronte alla camera).

Da lì c’è una cosa che ci deve essere chiara: possiamo sbagliare e dobbiamo imparare.

Nessuno di noi è nato e in due giorni ha imparato a stare in piedi tenendo la testa eretta: ci è stato dato il nostro tempo per essere padroni di noi e della nostra fisicità, siamo stati trascinati a infiniti pomeriggi in piscina (ma abbiamo imparato a essere piuttosto coordinati nei nostri movimenti e a regolare il respiro) e chissà cos’altro. Ci siamo presi il tempo e le occasioni per sbagliare, imparare, sbagliare ancora ma in modo diverso e finalmente riuscire.

Nel mondo del lavoro questo non ci viene (più) concesso: perché?

Il timore di mostrare una debolezza (che in realtà tale non è, ma solo una mancanza di conoscenza di qualcosa) ci blocca a tal punto? Davvero?

Non è solo che dobbiamo avere il coraggio di dire che una cosa non sappiamo farla, che è la prima volta che la affrontiamo, e non avvicinarci ancora prima di iniziare a un burnout?

Phoebe Buffay non sapeva né suonare né cantare, ma questa è la lezione migliore che possiamo imparare da lei: se qualcosa ci piace e desideriamo farlo, facciamolo.