Sindrome della capanna: tornare a comunicare in ambienti “non sicuri”

Si dice sindrome della capanna quel comportamento per il quale, dopo aver vissuto un periodo di isolamento, lo si assimila con una routine positiva e sicura. Dedicandosi a sé si è raggiunto un buon equilibrio. La comfort zone che si viene a creare all’interno delle mura domestiche è un porto sicuro, soprattutto per quanto riguarda la salute; uscire significa mettersi in gioco verso qualcosa di sconfinatamente ignoto.

Non si vuole in questa sede analizzare specificatamente il risvolto psicologico della cosa, ma quello comunicativo. Che cosa significa interagire quando si è (ri)scoperto il tempo con sé stessi, la propria personalità e il tempo dedicato ai propri hobby?

Essenziale è rendersi conto è che è qualcosa che viviamo tutti, e che quindi crea un disagio trasversale.Inoltre dobbiamo guardare al modo che dovremmo avere nel porci ad altri: siamo limitati nell’espressività dalla mascherina, che cela parte del volto e nasconde buona parte della comunicazione non verbale: il volto. Dobbiamo quindi imparare a sopperire con altri escamotage comunicativi.

In primo luogo, il tono di voce: impariamo a scandire bene le parole, con attenzione, a non “mangiarcele” nella fretta. Cattiva consigliera a prescindere, con la mascherina si rischia di non essere compresi immediatamente. È per questo importante adeguare anche il volume della voce: occorrerà forse abituarsi ad alzarlo un pochino di più, non potendosi avvicinare per sussurrare – nell’ottica di rispettare le regole del distanziamento sociale.

Un secondo punto che diventerà particolarmente importante è l’espressione del viso: non pensiamo che, col volto parzialmente coperto, possiamo essere invisibili. La fronte, gli occhi, piccoli movimenti sotto al tessuto possono essere intuibili… ma non perfettamente interpretabili. Per questo occorrerà sincronizzarsi con il terzo elemento fondamentale, la gestualità delle mani e la posizione del corpo. Saper leggere e trasmettere, soprattutto, le giuste sensazioni attraverso la comunicazione non verbale e il linguaggio del corpo diventerà sempre più fondamentale.

Il mito della caverna e il ruolo nella sindrome della capanna

Il mito della caverna di Platone è un principio filosofico che si può ben utilizzare come esempio ulteriore di quello che ci sta accadendo: la nostra realtà proiettata è diventata quella della casa, della protezione che percepiamo in essa. Uscire significa mettersi in gioco e rischiare, e farlo nel modo sbagliato è potenzialmente percepibile come una violenza. L’aspettarsi che gli altri vedano le nostre stesse ombre – ovvero seguano le nostre stesse direttive interiori, che ci siamo imposti in questo frangente – può generare scompensi comunicativi che rendono difficile ogni scambio. Per questo la chiarezza e lo scambio delle mappe diventa sempre più importante.